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venerdì 11 novembre 2011

SILENZIO


Veniva da un paese lontano, non mi disse mai quale, forse perché mai glielo chiesi.
Ho sempre pensato che in alcuni casi per avere delle risposte occorre non fare domande.
Eppure quando un raggio di sole illuminava i suoi occhi, si riusciva quasi a scorgere il riflesso di una città martoriata tanto quanto la sua anima.
Con un groviglio inestricabile di reticenze ed omissioni difendeva il suo passato, tamponava le sue ferite.
A volte nel bel mezzo di una piacevole serata, improvvisamente i suoi occhi si incupivano.
Erano nubi che assorbivano la luminosità del suo sguardo, erano lampi senza tuoni, temporali senza lacrime.
Allora mi allontanavo perché sapevo che era questo ciò che voleva, sgusciavo via in punta di piedi per lasciargli l’intimità di cui aveva bisogno.
Sapevo che poi sarebbe stato lui a cercare me e senza dire nulla avrebbe interrotto la mia attesa.
Leggevo nel suo sguardo un ringraziamento mai pronunciato.
Eppure non mi sono mai sentita esclusa, ciò che non diceva a me era ciò che non riusciva a verbalizzare neanche con se stesso.
Compresi subito ad esempio, che le passeggiate sul lungomare gli lasciavano addosso una patina di salsedine e malinconia.
Non vidi mai i suoi occhi posarsi sulle onde. Allora cambiavo direzione, senza che se ne accorgesse lo conducevo verso un altrove, lontano da ciò che lo turbava finché non sentivo il suo respiro tornare a poco a poco regolare.
Cominciai ad abituarmi a quei silenzi carichi di tutto finché una sera, senza alcun preavviso e come un fulmine a ciel sereno sentii la sua voce dire:
“Il mare. Il mare mi ha portato qui da un paese in guerra.
Il mare più della guerra mi ha fatto perdere tutto e tutti quando già avevo perso me stesso.
Nessuno, nessuno mai ha risposto ai miei silenzi con i suoi silenzi.
Nessuno mai.”
Poi tacque. La sua voce si spense nei colori del tramonto, i suoi occhi si chiusero ad arginare quella lacrima che non scese mai a sfiorare il suo volto. Una goccia del suo mare in tempesta.
Silenzio.

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