Etichette

venerdì 13 gennaio 2012

LE LACERAZIONI DI UNA VIOLENZA

Racconto ispirato alle foto di Paolo Scarano 
  

Le foto di Paolo vogliono raccontare la violenza alle donne. Lui lo ha fatto con le foto, io con le parole. Dedicato a tutte le donne che hanno subito violenza.



Camminava velocemente per raggiungere la stazione, era in ritardo per il lavoro. Sempre di corsa. Avrebbe dovuto imparare a prendersi maggiore cura di se stessa e dedicarsi più tempo, quella vita frenetica le stava togliendo energie, il piacere di godersi un giorno di pieno relax, di stare con gli amici, di coltivare i suoi tanti interessi. Decise che dal giorno dopo tutto sarebbe cambiato.
All’improvviso sentì un rumore dietro di lei, rallentò con il cuore in gola, si girò ma non vide nessuno. Un lampione oscillante sembrava intento a giocare con la luce che faceva danzare da una parte all’altra della piccola stradina isolata.
Affrettò il passo, la stazione era a poche centinaia di metri.
Fu un attimo, si sentì afferrare da dietro, mano sulla bocca e la lama appuntita di un coltello che le luccicò davanti agli occhi.
Si divincolò, cercò di gridare, di chiedere aiuto. Nulla.
Si sentì trascinare verso il bordo della stradina che dava sulla sterpaglia di un immenso campo abbandonato e abitato dai fantasmi della città, gente senza dimora e senza una vita, persone senz’anima.
Venne scaraventata a terra mentre quell’uomo le fu addosso all’improvviso portando con se l’odore acre del sudore e dell’alcool, le strappò i vestiti ma prima la stordì con schiaffi e pugni.
Sentì il sangue colarle dalla bocca e dal naso, fortunatamente riuscì ad urlare mentre il fischio del treno in arrivo copriva la sua voce.
Capì che non c’era nulla da fare, che nessuno l’avrebbe sentita e nessuno sarebbe venuto in suo soccorso.
Gridò fino alla fine per il dolore, per il senso di impotenza, per la rabbia, per la consapevolezza che da quel momento, se quell’uomo non l’avesse ammazzata, la sua vita non sarebbe più stata degna di essere definita tale.
Si sentì violata in ogni angolo del suo corpo e della sua mente.
Si chiese come faceva il mondo ad andare avanti mentre a lei stava accadendo questo, mentre qualcuno le strappava vestiti, sogni e futuro.
Poi quell’uomo si alzò. Lo vide a stento barcollare e allontanarsi per poi crollare a terra.
Ebbe appena la lucidità di ricomporsi e scappare verso la stazione per chiedere aiuto.
Ciò che successe dopo non lo ricordò subito. Le dissero che svenne, aveva vaghi ricordi di ospedali e polizia, domande su domande mentre lei voleva solo dimenticare, cancellare, scordare.
Ed era strano di come potesse sentirsi così colpevole.
Aveva continui sensi di colpa, si chiedeva se per caso la gonna che indossava non fosse troppo corta nonostante il cappotto, se avesse fatto qualcosa per attirare l’attenzione di quell’uomo, si chiedeva il perché proprio quel giorno aveva deciso di prendere quella stradina che non prendeva mai dato che lei stessa la considerava troppo buia e pericolosa.
Tante domande senza risposta.
Da quel giorno non fu più giorno per lei.
Da quel giorno il tempo si fermò, orologi senza lancette nella sua vita.
Continuava a nausearla l’odore di sudore e di alcool, si sentiva sporca e le tante docce che faceva non l’aiutavano a toglierle di dosso quel senso di impurità.
Fanno male le ferite che non si vedono, le cicatrici interiori, i tagli dell’anima.
Nessuna sutura sarà mai in grado di chiudere certe lacerazioni.
Rimaneva rannicchiata nella sua stanza, gambe abbracciate e lacrime che sgorgavano senza sosta.
La sua vita, lo sapeva, era finita. Finita per sempre.
Non aveva più voglia di fare nulla, abbandonata a se stessa si lasciò andare ad un torpore che era difesa dal mondo esterno.
La notte, quelle poche notti in cui riusciva a prendere sonno, si svegliava gridando, madida di sudore. Erano incubi che proiettavano come un film nella sua mente, le scene vissute.
Quanto immenso dolore da trascinarsi dietro per il resto della vita!
Persino il rumore proveniente dalla strada la infastidiva, le ricordava la vita che gli altri ancora avevano e che a lei era stata strappata.
Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto rimettersi in sesto e ritornare al mondo perché il mondo aveva bisogno di lei e lei aveva bisogno almeno di sopravvivere.
No. Non ambiva a ritornare alla vita.
Ancora sgorgava sangue dalle sue ferite, ancora c’erano lividi nel suo cuore e ancora, ancora c’era quell’odore di sudore e alcool a ricordarle l’accaduto.
Così aspettò e nell’attesa passò altro tempo.
Quando si sentì pronta per tornare alla vita era un giorno come tanti ma da quel giorno non fu mai più giorno per lei.

Nessun commento:

Posta un commento